“L’uomo con l’ala di corvo”, intervista con Carlo von Guggenberg

4 maggio 1945, Stramentizzo e Molina (Trento) – l’ultima strage nazista in Italia raccontata attraverso il memoriale di Paul Mayr.
Abbiamo intervistato Carlo von Guggenberg, nipote di Paul Mayr, che ha recentemente pubblicato la ricostruzione storica della vita di suo zio: dalla gioventù alla carriera da avvocato, passando per la Seconda guerra mondiale e la strage di Stramentizzo, nucleo centrale della vicenda.

Prima di tutto partiamo dal titolo: chi è l’uomo con l’ala di corvo e perché scegliere lui come oggetto del titolo?

L’uomo con l’ala di corvo è il personaggio dell’episodio centrale del memoriale, la strage di Stramentizzo e Molina. Era l’uomo di avanguardia della pattuglia partigiana che incontrò per primo mio zio, del plotone di avanguardia tedesco in ritirata. Ci fu un dibattito tra le avanguardie e questo partigiano mi sembrava una figura molto evocativa, con l’ala di corvo insanguinata al posto della normale piuma del cappello da alpino. Anche se il personaggio centrale è mio zio e tutta la sua storia converge nella strage, questo partigiano di cui non è chiara l’identità è l’emblema del nucleo del racconto.

Qual è stato il lavoro di ricostruzione della vicenda a partire dal manoscritto per poi completarlo con le verifiche e i dati storici ricercati?

L’attività di ricerca e di conferma dei fatti storici è stata lunga e pesante: sono stato in Austria, Germania e a Bolzano e Roma. A partire dal memoriale, ho trovato conferme e dati aggiuntivi che non conoscevo. La ricostruzione inizia dal collegio nazista per arrivare alla prigionia, passando dai reparti di guerra in cui è stato impiegato. La parte più facile da ricostruire è stata quella della strage, perché c’era già una letteratura storica pubblicata, ma mancava la ricostruzione dell’altra “parte”, quella nazista per completare le testimonianze partigiane.

Quindi non si può parlare di una storia romanzata, anche se sono riportati dialoghi e il racconto è ampliato rispetto ai soli ricordi di suo zio.

No, il dettaglio che fa la differenza è che si tratta di un memoriale e non di un diario, perché è stato scritto da mio zio dopo molto tempo, nella seconda metà degli anni ’70. Il modo in cui scrive il memoriale contiene già dialoghi ed è ‘romanzato’ ma non è narrativa. Il mio intento è mostrare a tutti l’altra parte, quella nazista, più taciuta. Anche la lunghezza è molto diversa: il memoriale è molto più ampio, 275 pagine sulla guerra e la prigionia, più altrettante pagine di fatti familiari o irrilevanti che non aggiungevano informazioni alla storia. Tradurre dal tedesco e pubblicare oltre 600 pagine non era il lavoro che volevo fare, era mia intenzione uscire dal pettegolezzo personale e raccontare la Storia vera e propria.

Vista la precocità con cui la guerra e l’ideologia nazista è entrata nella vita di Paul Mayr, qual è stato l’impatto personale sulla sua vita?

La prima parte del libro si concentra su questo, perché oltre al collegio che ha frequentato, anche la storia dell’Alto Adige è emblematica per far emergere l’ideologia dell’epoca. La politica fascista è stata molto violenta e repressiva verso i germanofoni dopo l’annessione all’Italia, per cui diventare nazisti e pangermanisti era una scelta in opposizione al regime fascista. Già il padre di Paul Mayr decise di essere pangermanista e questo implicò la stessa appartenenza anche per il figlio, mandato in collegio nazista in Alsazia per tre anni. Anche se non sono informazioni contenute nel memoriale, ho voluto ricostruire la vita in quel collegio per rappresentare l’indottrinamento dei quattordicenni. Bisogna capire che è un’istituzione totale: quando non sei a scuola spari, quando non spari fai sport tutti insieme e la conseguenza naturale è arruolarsi nell’esercito. Non c’era nessuna differenza tra l’essere tedeschi e l’essere nazisti.

Paul Mayr svolge la sua carriera militare e poi dopo la prigionia si reinventa avvocato. Ci racconta il percorso di pentimento e di riscatto di suo zio?

Sì, dopo la prigionia mio zio pian piano comincia a capire e a dissociarsi dal nazismo. Non sapeva niente dei lager per esempio, e durante la seconda guerra mondiale non aveva la percezione di quanto succedeva. La cosa più confortante per me è stata trovare le sue prese di posizione negli anni ’70 contro i nostalgici nazisti e a favore dei martiri antifascisti. Prese di posizione che si discostavano dall’autoassolvimento e dal vittimismo della popolazione tirolese e lo avvicinavano alla persona che avevo conosciuto io quando i miti dell’ideologia nazista erano caduti.

Una domanda più personale: come si porta e si elabora la memoria di un parente che è stato dalla “parte sbagliata” della storia anche se le alternative erano poche?

Questo lavoro è stato un viaggio faticoso e doloroso, perché Paul Mayr per me non era uno zio qualunque, ma lo zio dell’infanzia, quello che organizzava le ‘olimpiadi’ per i bambini e mi accompagnava nelle escursioni in montagna. Da bambino non capivo il senso di queste prese di posizione, solo dopo ho riconciliato le due immagini di lui. Nella narrazione spero di essere rimasto neutrale e distaccato ma il percorso che c’è stato prima è stato di pancia; spero di averlo restituito di testa.

Oggi Stramentizzo è un lago artificiale, il paese è stato ricostruito più in alto. Come si fa memoria senza un luogo dove ricordare?

È difficile perché quei luoghi adesso sono sott’acqua, e il lavoro di ricostruzione e pubblicazione ha resuscitato dall’acqua le figure di mio zio e del partigiano Marincola. Diverso è per Molina dove ci sono ancora alcuni dei luoghi raccontati nel memoriale, ma se non si sa e non si va apposta non si coglie il passaggio della Storia. C’è stato anche un dibattito tra la popolazione e le figure dei partigiani che, ormai al termine della guerra, si sono scontrate con le truppe naziste invece di farle passare, innescando così, secondo alcuni, la strage.

Un altro personaggio di cui si parla è il partigiano Giorgio Marincola. Chi è e qual è il legame con lui oggi?

La sua storia non la affronto nel libro ma nell’appendice: quando ho approfondito la strage ho scoperto che tra le vittime c’era Giorgio Marincola, il partigiano nero, figlio di un soldato italiano in Somalia, cresciuto nero nella Roma fascista e poi passato tra le schiere dei partigiani. Marincola è stato vittima dei colpi di mitragliatrice del caporale di mio zio, si può dire che abbia vinto nella Storia ma perso a Stramentizzo, all’esatto opposto di mio zio. Ho conosciuto il nipote ed è stato un incontro intenso perché entrambi abbiamo tirato fuori dall’acqua i fantasmi della nostra famiglia… lui invece di darmi un pugno sul naso mi ha abbracciato.

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